Mercoledì sera nella trattoria lì vicino racconto del mio amico Quindes e mi rendo conto che sono molti mesi che non passo a vedere come va. Ci vado e mi dico che avevo ragione ad essere preoccupato quando, tempo fa, l’avevo lasciato in mezzo ai lavori in corso. Il cantiere non c’è più e i risultati si vedono, in tutti i sensi. Il nuovo capolinea del Quindici è una meraviglia, sembra quasi la stazione di una linea ferroviaria. Però, come sempre, l’avanzare del progresso lascia qualche vittima sul suo cammino. Pazienza la nuova firma tra i cornetti, anche quello può essere un segno di affetto. Però lui è veramente inguardabile, non so cosa possano avergli fatto. Avranno risciacquato i secchi della calcina, gli avranno sbattuto gli attrezzi addosso. Il risultato è che adesso il mio amico toret è tutto schizzato, persino sul naso, ammaccato, con la vernice scrostata in vari punti. Non so cosa dirgli, gli prometto di segnalare la situazione e me ne vado a testa bassa.
Eravamo a metà novembre, passai a trovarlo un pomeriggio e scoprii che tutta la zona era in subbuglio. Alle sue spalle era nato un cantiere, non sapevo di preciso per fare cosa, però tutto l’incrocio di Sassi era in fermento. Con la recinzione gli erano arrivati molto vicini, non l’avevano inglobato nell’area cantiere ma ci era mancato poco. Pensavo di trovarlo allarmato, che tutto quel movimento potesse turbare la sua quiete e invece mi era sembrato raggiante per la novità. Finalmente un po’ di via vai, qualcuno che gli teneva compagnia, che poteva approfittare del prezioso servizio che, nel suo piccolo, metteva a disposizione ventiquattrore al giorno. Contento te, mi dissi, gli augurai buon lavoro e me ne andai moderatamente preoccupato.
Avevo lasciato la macchina al parcheggio Sassi e mi stavo avviando verso il capolinea Coriolano. Svoltato l’angolo, appena l’ho visto mi sono detto no, non è possibile. E mi sono avvicinato con cautela, pensando di trovarlo arrabbiato, depresso, come minimo sconsolato. Invece no. Contento perché lo hanno completamente ridipinto di verde scuro (verde inglese mi ha suggerito wikipedia). Gli hanno pure rivettato una nuova targhetta blu, in sostituzione di quella risalente al periodo tolemaico. Però, gli ho detto, non hanno perso tempo con la bomboletta, appena la vernice si è asciugata ti hanno subito decorato di frecce rosa. Sì è vero, mi ha risposto, ma era tutto troppo ordinato, con ’sti graffiti punk mi sento più a mio agio, più in sintonia con l’habitat. Meglio così, ho pensato tra me e me. L’ho sfiorato con una carezza tra le corna e mi sono avviato verso il quindes che, intanto, stava scaldando i motori.
Dobbiamo subito risolvere una questione che gli sta a cuore e allora ne parliamo. All’Anagrafe dei Toret, la sua Carta d’Identità riporta il codice 35132. Denominazione adeguata per non confonderlo con gli altri toret ma un tantino impersonale. Allora pensiamo a qualcosa di più informale e ci accordiamo su Quindes, il numero del tram che lo prende in giro. Gli passa davanti sferragliando, poi stride nella svolta a sinistra, gli gira intorno e si ferma dietro sulla destra, in attesa di ripartire verso il centro città. A sentire lui è l’unico altro soggetto che gli tiene un po’ di compagnia. Poi mi chiede notizie delle Fonderie Allegri, il suo reparto maternità. Gli rispondo che è viva e produttiva a Serravalle Scrivia ma non so se continua a sfornare altri toret oppure produce solo tombini, come quello vicino a casa mia. Sembra soddisfatto.
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